Tante galle a cantà nun schiara maje juorno.
Letteralmente: tanti galli a cantare non spunta mai il giorno. Id est: quando si è in tanti ad esprimere un parere intorno ad un argomento, a proporre una soluzione ad un problema, non si addiviene a nulla di concreto... Perché dunque farsi meraviglia se il parlamento italiano composto da un numero esorbitante di deputati e senatori non riesce mai a legiferare rapidamente e saggiamente: parlano in tanti...
Campania
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Sì, sì quanno curre e 'mpizze...
Letteralmente: sì quando corri ed infili! La locuzione significa che si sta ponendo speranza in qualcosa che molto difficilmente si potrà avverare, per cui è da intendersi in senso ironico, volendo dire: quel che tu ti auguri avvenga, non avverrà. La locuzione fa riferimento ad un'antica gara che si svolgeva sulle piazze dei paesi meridionali. Si infiggeva nell'acciottolato della piazza del paese un'alta pertica con un anello metallico posto in punta ad essa pertica, libero di dondolare al vento. I gareggianti dovevano, correndo a cavallo, far passare nell'anello la punta di una lancia, cosa difficilissima da farsi.
Campania
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Madonna mia, mantiene ll'acqua!
Letteralmente: Madanna mia reggi l'acqua. Id est: fa che la situazione non peggiori o non degeneri. L'invocazione viene usata quando ci si trovi davanti ad una situazione di contesa il cui esito si prospetti prossimo a degenerare per evidente cattiva volontà di uno o più dei contendenti.
Campania
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Ommo 'e ciappa.
Letteralmente: uomo di bottone e, per traslato, uomo importante, di vaglia. La locuzione ha origini antichissime addirittura seicentesche allorché a Napoli esistette una consorteria particolare, la cd repubblica dei togati che riuniva un po' tutta la classe dirigente della città. Le ciappe (dal latino=capula) erano i grossi bottoni d'argento cesellato che formavano l'abbottonatura della toga simbolo, appunto, di detta consorteria.
Campania
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'A nave cammina e 'a fava se coce.
Letteralmente: la nave cammina, e la fava si cuoce. La locuzione mette in relazione il cuocersi della fava (che indica la sopravvivenza,id est la continuata abbondanza di cibo) con il cammino della nave ossia con il progredire delle attività economiche, per cui è più opportuno tradurre se la nave va, la fava cuoce.
Campania
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Essere 'nu casatiello cu ll'uva passa.
Letteralmente: essere una caratteristica torta rustica pasquale ripiena d'uva passita. Id est: essere una persona greve, fastidiosa, indigesta, noiosa quasi come la torta menzionata già greve di suo per esser ripiena di formaggio, uova, salame, resa meno digeribile dalla presenza dell'uva passita...
Campania
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Nce vonno 'e cquatte laste e 'o lamparulo.
Letteralmente: occorono i quattro vetri laterali ed il reggimoccolo. Id est: il lavoro compiuto è del tutto inutilizzabile in quanto palesamente incompleto e non fatto a regola d'arte; quello della locuzione è una lanterna ultimata in modo raffazzonato al punto che mancano elementi essenziali alla sua funzionalità. La locuzione viene perciò usata nei confronti di chi, ingiustificatamente, si gloria di aver fatto un eccellente lavoro, laddove ad un attento controllo esso risulta vistosamente carente .
Campania
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Jirsene cu 'na mana annanze e n'ata arreto.
Letteralmente: andarsene con una mano davanti ed una di dietro (per coprirsi le vergogne). Era il modo con cui il debitore si allontanava dal luogo dove aveva eseguito la cessio bonorum, aveva cioè poggiato le nude natiche su di una colonnina posta innanzi al tribunale a dimostrazione di non aver più niente. La locuzione perciò significa e si usa per indicare chi, non avendo concluso nulla di buono, ci ha rimesso fino all'ultimo quattrino e non gli resta che l'ignominia di cambiar zona andandosene con una mano davanti ed una di dietro.
Campania
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A - miette mano a' tela
B - arriciette 'e fierre
Le due locuzioni indicano l'incipit e il termine di un'opera e vengono usate nelle precise circostanze da esse indicate, ma sempre con un valore di sprone; sub A: metti mano alla tela, ossia, prepara la tela ché è giunto il momento di cominciare il lavoro.
sub B: metti a posto i ferri, è giunta l'ora di lasciare il lavoro.
Campania
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Essere 'nu secaturnese.
Letteralmente: essere un sega tornesi.Id est: essere un avaraccio, super avaro al punto di far concorrenza a taluni antichi tonsori di monete, che al tempo che circolavano monete d'oro o d'argento, usavano limarle per poi rivender la limatura e far così piccoli guadagni: venne poi la carta-moneta e finì il divertimento.
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