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GLI ARTICOLI DI DIALETTANDO.COM:
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FASTIDIOSO – NOIOSO – ROMPISCATOLE
Viaggio "dentro" il Dialetto Napoletano & Dintorni
Questa volta, anche su sollecitazione di un caro amico che mi à chiesto di
parlarne, mi occupo delle parole, nonché qua e là della fraseologia che rendono
in lingua napoletana i concetti espressi dai sostantivi in epigrafe; partiamo
proprio da questi: fastidioso : chi reca o provoca fastidio dal latino:
fastidiosu(m) derivato di fastidiu(m); noioso : chi arreca noia, fastidio dal
provenzale: enojos derivato da un latino volgare: inodiosu(m) da odiu(m) odio;
rompiscatole : agg. e s. m. e f. invar. (fam.) si dice di persona molesta e
importuna; etimologicamente composto dal verbo rompere e dal sostantivo scatole
usato eufemisticamente in luogo di altra parola becera o oscena;
Ciò premesso passiamo alle parole napoletane:
- ammusciatore o ammusciante che è propriamente il tediante, l’annoiatore;
ambedue i termini di cui il secondo è addirittura il participio presente che
denota un’azione in… corso d’opera, sono forgiati sul verbo ammuscià: che
propriamente, tal quale il toscano ammosciare è il render vizzo, floscio, moscio
ed estensivamente appunto l’annoiare, l’infastidire; il verbo ammuscià è un
denominale di muscio (moscio dal latino mucidu(m) > muc’dus>mustius>muscius e
muscio);
- abbuffatore e abbuttante che, a tutta prima, identificando chi gonfi qualcuno
a mo’ di buffo o di butto (parole che, o per adattamento o per corruzione
vengono ambedue dal latino bufo ed indicano ambedue il rospo, parrebbero quasi
porsi agli antipodi dei precedenti, esprimono in realtà un medesimo tedio sia
che esso derivi dall’essere enfiato, sia che derivi dall’essere resi mosci o
flosci; ambedue le parole sono dei deverbali: la prima di abbuffà: enfiare come
un buffo = rospo; la seconda participio presente del verbo abbuttà che è
l’enfiare come un butto (idem che buffo=rospo): ma si può anche pensare ad un
basso latino: ad-bottare= riempire come una botte; con riferimento all’abbuffà,
riporto qui quanto già espressi al proposito di un’icastica locuzione partenopea
becera fin che si vuole, ma indubbiamente espressiva : abbuffà ‘a guallera nella
locuzione me staje abbuffanno 'a guallera. Ad litteram: enfiare l'ernia nella
locuzione mi stai gonfiando l'ernia id est: mi stai tediando, mi stai oltremodo
infastidendo, procurandomi una figurata enfiagione dell'ernia; locuzione che si
ritrova con gran risentimento sulla bocca di chi, già tediato di suo, veda
aumentare a dismisura il proprio fastidio, per l'azione di un rompiscatole che
insista nel suo disdicevole atteggiamento. Ricorderò che il termine guallera
(ernia) è mutuato dall'arabo wadara di pari significato e con esso termine il
napoletano indica la vera e propria affezione erniale dove che sia ubicata, ma
anche per traslato, il sacco scrotale ed è a quest'ultimo che con ogni
probabilità si riferisce la locuzione, prestandosi, data la sua sfericità, ad
essere sia pure figuratamente gonfiato. Segnalo ora, qui di sèguito altre
icastiche locuzioni di medesima portata di quella in epigrafe, locuzioni che
vengono usate secondo il grado del tedio che si prova; la prima, mutuata dall'àmbito
culinario, proclama: me staje facenno oppure m’ hê fatto ‘a guallera â
pezzaiuola (mi stai facendo oppure mi ài fatto l'ernia alla pizzaiola) quasi che
l'ernia fosse possibile cucinarla con olio, pomodoro, aglio e origano a mo' di
una fettina di carne; altra locuzione usata è quella che mutuata dal linguaggio
del lavoro d'ebanisteria, proclama: me staje scartavetranno 'a guallera ( mi
stai levigando l'ernia con la carta vetrata) infine esiste una locuzione che -
mutuata dall'ambito sartoriale - nella sua espressività barocca, se non rococò,
afferma: me staje facenno 'a guallera a plissé (mi stai facendo l'ernia
plissettata) quasi che fosse possibile trattare l'ernia come una gonna,
pieghettandola longitudinalmente in modo minutissimo.
- abbesechiante o abbesechiatore ambedue le parole, come le precedenti
abbuffante – abbuffatore attengono al rigonfiare nel senso di tediare; queste a
margine, come le rammentate, sono un deverbale qui di abbesechià che sta per
gonfiare a mo’ di vessecchia/ bessecchia = vescica da un tardo latino vesica,
atteso che il paragone è fatto qui con la vescica del maiale (che gonfiata è
usata per contenere e conservar la sugna in consistenza di pomata) e lì con il
bufo>buffo=rospo;
- afflittivo che è propriamente colui che affligge, tormenta, importuna,
deverbale di affliggere che è dal latino ad-fligere composto dalla particella ad
che indica direzione e fligere che à originariamente il senso di battere,
percuotere; e non si può negare che chi è importuno, tormentatore, afflittivo
non percuota sia pure figuratamente e moralmente chi sia importunato, tormentato
etc;
- apprettatore termine che connota il molestatore, il tormentatore continuo ed
assiduo, aduso a molestare alla maniera di chi (come visto precedentemente) sia
capace con la sua molesta condotta di addirittura plissettare (sia pure
figuratamente) lì la sola ernia, qui un’intera persona; il termine apprettatore,
infatti etimologicamente è un deverbale del latino adplictare > applictare >
applittare > apprittare donde apprettare e apprettatore; l’originario adplictare
è da collegarsi al sostantivo plecta =piega che ci riporta al plissé di
plissettare; rammenterò che la voce apprettatore fu usata, come aggettivo
riferito ad un noioso merlo canterino, dal poeta Salvatore Di Giacomo (Napoli
12/3/1860 – ivi 5/4/1934) in una sua canzone, musicata da E.A.Mario (Napoli
5/5/1884 ivi 24/6/1961) dal titolo Mierolo affurtunato;
- fittivo che indica il molestatore, il fastidioso soggetto che pone nella sua
azione malevola anche una buona dose di cattiveria mirante ad arrecar oltre che
molestia anche danno al soggetto fatto segno delle sue noiose e pericolose
molestie, in linea con il verbo latino figere cui è etimologicamente da
collegarsi, verbo che diede il termine fictilia da cui il napoletano fettiglie=
noie, molestie, portate quasi di lontano a mo’ di strali; alle medesime
fettiglie già alibi dissi ma qui ribadisco sia da collegarsi il verbo napoletano
fettiare verbo che un tempo servì ad identificare un’azione ben precisa: quella
di sogguardare insistentemente una persona o anche solo un quid, in maniera però
concupiscente fino a determinare fastidio nella persona guardata; in particolare
i giovanotti che si fossero messi sulle piste di un’avvenente ragazza
insistentemente, negli anni tra il 1950 ed il 1960, se la fettiavano fino a che
la ragazza infastidita, o non cedeva alle non dichiarate, ma chiaramente
sottintese avances o non chiamasse a propria difesa un fratello, un cugino, un
fidato amico che convinceva con le buone o le tristi il disturbatore esortato a
fettiare altrove. Il verbo veniva usato anche nei riguardi di cose desiderate,
ma – per mancanza di soldi – mai conquistate; a mo’ d’es. diremo che in quegli
anni se fettiavano un abito, un paio di scarpe, una cravatta, o anche l’intera
vetrina di una pasticceria o trattoria;
- frusciatore il molestatore che con la sua petulante opera, può addirittura
fare in pezzi la mente ed il cuore della sua vittima molestata, quasi in
ottemperanza del suo etimo che è un deverbale del latino: frustiare= dissipare
riducendo in pezzi;
- scucciatore che è il frastornatore, il molestatore, quello che figuratamente
rompe la coccia=testa etimologicamente deverbale di scuccià che in origine sta
per rompere, tirar via la coccia, il guscio delle uova e per traslato figurato
rompere, tirar via la testa;
- scassacazzo eccoci a trattar di una parola, becera ma enormemente icastica con
la quale si connota un molestatore, così fastidioso, noioso da indurre in chi è
fatto segno delle sue molestie, noie e fastidi, addirittura la sbreccatura se
non la rottura della più intima e sacra parte anatomica; etimologicamente la
parola viene dalla somma della voce verbale scassa (3° pers. Sing. Pres. Ind.)
del verbo scassà (dal latino ex-quassare=scuotere fino alla rottura) + il
termine cazzo (gergo marinaresco dal greco akàtion = albero della nave); alcune
volte il termine a margine, ritenuto troppo volgare, è addolcito nel meno becero
scassacacchio o nell’eufemistico scassambrello ma la sostanza, non cambia;
- sustàtore o assustatore, che sono ad un dipresso la medesima parola,
risultando essere la seconda un accrescimento della prima operata attraverso un
prefisso as e connotano ugualmente il/i molestatore/i inveterato/i ed assiduo/i
tale/i da spingere ad una reazione, anche violenta, il/i molestato/i. ambedue le
parole sono un deverbale del latino suscitare= eccitare;
- zucatore id est il molestatore che assale il molestato quasi con la
riprovevole foga di chi intenda suggergli l’anima o i succhi vitali; deverbale
di zucà =succhiare che è dal latino sucus; il più noioso di tali zucature fu il
c.d. zucafistole (succhiapiaghe) personaggio, peraltro veramente esistente in
antichi ospedali napoletani dove si assumeva il compito di depurare, mediante
aspirazione, del pus esistente, le piaghe di taluni malati, operazione
necessaria, ma pur sempre fastidiosa!Figurarsi poi quando il fastidio non porti
almeno il beneficio della depurazione!
- In chiusura dirò che di tutti gli elencati molestatori a Napoli si soleva ed
ancora si suole dire che rompono o scassano ‘o curdino che ad litteram è il
cordino e cioè il frustino, il nerbo; va da sé che tale curdino è usato
eufemisticamente come il pregresso ‘mbrello, per significare il greco akàtion.
E qui faccio punto, augurandomi di non aver scassato ‘o curdino a nisciuno!
Raffaele Bracale - Napoli
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